In seguito venne ricostruito ed adeguato alle esigenze militari da Alfonso D'Aragona per difendersi dall'attacco dei Turchi (1480). Nel corso del '500 , malgrado l'opera di ricostruzione, restò privo di soldati e abbandonato; nel 1544 verrà demolito e tutti gli abitanti del villaggio, rimasti ormai in pochi, si sposteranno in una località più interna dando origine al villaggio di Roca Nuova. Attualmente sono in corso campagne di scavi in tutta l'area archeologica particolarmente estesa. L'Universita degli studi di Lecce sta svolgendo campagne di scavo su tutta l'area.

SITO ARCHEOLOGICO DI ROCA VECCHIA - L'area archeologica, situata su di un promontorio sul mare, è visibile percorrendo la litoranea adriatica Roca- Torre dell'Orso. Le fasi più antiche individuate riguardano l'importante abitato fortificato dell'età del Bronzo, attualmente oggetto di indagini da parte dell'Università di Lecce. Gli scavi hanno inoltre portato alla luce ampi settori dell'impianto medievale trecentesco (metà XIV-inizi XV sec.), fondato da Gualtiero di Brienne, Conte di Lecce. Per quanto riguarda le fasi messapiche i dati noti, prevalentemente riferibili all'impianto del IV-III sec. a.C., sono costituiti dalle fortificazioni e dalle numerose tombe esplorate fra gli anni '30 e '50 dal Museo Provinciale di Lecce. Dalla zona Castello, sul promontorio, provengono alcuni elementi architettonici databili agli inizi del V sec. a.C. che non è possibile ricollegare ad un contesto preciso. Alle fasi tardo-arcaiche sono inoltre riferibili alcuni complessi tombali individuati nell'ambito delle ricerche effettuate negli anni '30 e alla fine degli anni '50.

CASTELLO DI ROCA VECCHIA - Gualtiero VI di Brienne, Conte di Lecce e Duca d'Atene, fece ereggere un castello nel XIV secolo sul promontorio di Roca a strapiombo sul mare adriatico. La fortificazione venne impiantata sui ruderi di Roca messapica per la posizione particolarmente strategica e per l'importanza economica del porto. Durante il XV secolo il castello fu protagonista delle lotte fra angioni e aragonesi divenendo la piazzaforte del re Ferrante (1470). Più tardi Alfonso d'Aragona, per difendersi dagli attacchi dei Turchi, adeguò la fortezza alle nuove esigenze militari potenziando le strutture esistenti. Malgrado l'opera di ricostruzione, nel corso del '500, restò privo di soldati e abbandonato, tanto che fu ordinata la demolizione nel 1544. Attualmente i ruderi ricadono nell'area archeologica di Roca Vecchia.

LA GROTTA DELLA POESIA - "Si narra che una bellissima principessa amasse fare il bagno nelle acque salutifere della grotta; la sua bellezza era così folgorante che ben presto la notizia si diffuse in tutta la Puglia. Fu così che schiere di poeti provenienti da tutto il Sud dell'Italia si riunivano in quel luogo per comporre versi ispirati alla sua bellezza: chi scrisse delle ninfe, chi delle principesse orientali, chi delle regine del nord, e la fama durò tanto a lungo che ancora oggi questo luogo è conosciuto come la Grotta della Poesia."

Nell'area archeologica di Roca, comune di Melendugno (Lecce), si trova un importante monumento, scoperto nel 1983 e da allora oggetto di studio: la Grotta della Poesia (fig.1).
Si tratta di una grande cavità di origine carsica, oggi invasa alla base dal mare, che si apre nella bancata di calcareniti che costruiscono la falesia costiera di Roca.

Si deve al professor Cosimo Pagliara, docente di Antichità Greche presso l'Università di Lecce, il ritrovamento della grotta "della Poesia" che si sviluppa circolarmente su una superficie di 600 mq. e reca numerosissime iscrizioni votive, talvolta sovrapposte, di epoche e civiltà differenti, che risalgono all'VIII-II secolo a.C. e forniscono testimonianze sulla protostoria, l'epoca messapica, greca e romana. La grotta, raggiungibile più agevolmente dal mare, si snoda nel sottosuolo in corrispondenza di una fonte sorgiva di acqua dolce. Era infatti denominata anche "Grotta della Fonte". Anticamente era adibita a luogo di culto (collegato a due grotte contigue), dedicato a una divinità maschile, Thaotor Audirahas, successivamente latinizzato in Tutor Adraius, connessa a pratiche di guarigione.

Una parte del rituale prevedeva l'incisione di figure e testi sulle pareti della grotta che, nel tempo, si trasformò in un immenso archivio di testimonianze epigrafiche.
L'abitudine a incidere testi continuò in età repubblicana e sulle pareti vennero incisi testi in lingua greca e latina.