Ecco la storia del 28 luglio del 1943. Tre giorni prima una mozione del Gran consiglio del fascismo aveva sfiduciato Benito Mussolini. A Bari diffusasi la notizia che sarebbero stati liberati i detenuti politici dopo l'arresto del Duce duecento manifestanti, tra cui molti studenti, si diressero verso il carcere per chiedere la liberazione di alcuni prigionieri (tra questi Tommaso Fiore, Michele Cifarelli, Guido De Ruggiero, Guido Calogero, filosofo che fu maestro del giovane Ciampi). Era il tempo della speranza; ma anche dell'illusione, ferocemente contraddetta dai fatti, che la liquidazione di Mussolini potesse rappresentare l'immediato rifiorire delle libertà democratiche. I manifestanti furono fermati a mitragliate in via Niccolò dell'Arca. Un reparto dell'esercito e alcuni individui, appostati dietro le finestre della sede del Partito Nazionale Fascista, spararono e uccisero una ventina di persone. In cinquanta rimasero feriti. Tra loro Fabrizio Canfora, padre di Luciano, filologo classico e commentatore del Corriere della Sera. Una testimonianza: «In seguito ai luttuosi fatti di Bari, i feriti sono ancora piantonati... Sono in carcere... Tutto ciò ha prodotto e produce penosissima impressione nella cittadinanza, perché la dimostrazione fatta all'avvento del nuovo Governo aveva carattere, non solo pacifico, ma anche di entusiastico consenso per l'opera del Re e del Maresciallo. Un fatale equivoco, provocato dai fascisti, trasse la truppa a sparare sulla folla; perché aggravare l'equivoco infierendo sulle vittime?... Perché soltanto Bari deve scontar così duramente la sua innocente manifestazione di giubilo?». Il testo di questa lettera giunse nell'agosto 1943 al Capo del Governo Pietro Badoglio, allora ancora a Roma. Era stata firmata dal filosofo liberalsocialista Guido De Ruggiero (Napoli 1888 - Roma 1948).

http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/schede/scugnizzi.jpgEd ecco le vicende del 9 settembre 1943. Lo scontro, costato sei morti italiani ricordati in una lapide sul Palazzo della dogana, contrappose alcune centinaia di soldati tedeschi (incaricati il giorno successivo alla notizia dell'armistizio tra Italia e forze alleate di far saltare lo scalo portuale e altre installazioni baresi) a militari e civili italiani. Questi ultimi cercarono di fermarli, prima spontaneamente poi col coordinamento del generale Nicola Bellomo, intervenuto di sua iniziativa vista la mancanza d'iniziativa dei vertici militari (l'anno dopo fu processato e fucilato dagli inglesi con l'accusa di aver provocato la morte di alcuni soldati britannici prigionieri di guerra). Scoppiò una battaglia. In forze i tedeschi si presentarono dinanzi ai cancelli del porto e aprirono il fuoco. Riuscirono sulle prime a entrare e a impadronirsi pure di alcune batterie contraeree. La reazione italiana fu immediata. Soldati, marinai, avieri, guardie di finanza passarono al contrattacco, assumendo il controllo della situazione. Anche gli impiegati e il presidio militare delle Poste resistettero. Un camion tedesco fu distrutto da una bomba lanciata da un ragazzo di quattordici anni, mentre il mezzo passava sotto l'arco di San Nicola: quell'ex ragazzo, Michele Romito, ha oggi 78 anni e vive ancora nella sua Bari vecchia (deceduto NDR), stesso indirizzo; negli anni Settanta il Comune si ricordò di lui, con una medaglia, poi l'oblio. Bombe furono lanciate da altre decine di ragazzi del borgo. Di questi giovanissimi nessuno ha mai più parlato. E' uno dei lati oscuri, censurati per decenni, della storia della guerra di Liberazione.

Meno di tre mesi dopo, il 2 dicembre 1943 alle 19.30, i tedeschi attaccarono dal cielo la flotta alleata ormeggiata nel porto di Bari. L'attacco della Luftwaffe fu uno dei più nefasti dell'intera guerra; così disastroso che il generale Eisenhower avrebbe poi scritto nelle sue memorie: «Subimmo la più grave perdita inflittaci da attacco aereo dell'intera campagna del Mediterraneo e in Europa» . Delle trenta unità presenti, 17 furono affondate e 8 gravemente danneggiate. Tra queste c'era la Uss John Harvey, che trasportava duemila bombe all'iprite, un gas proibito usato per la guerra chimica. Il gas invase dapprima la città vecchia, quindi il territorio circostante. I morti furono circa 1.500. Fin dall'inizio il comando statunitense impose una rigorosa censura militare perché la notizia non trapelasse. Perché l'iprite era stata messa al bando dalla Convenzione di Ginevra fin dal 1925; il nome del terribile «gas mostarda» si doveva alla cittadina belga di Ypres, dove venne impiegato per la prima volta dagli Imperi Centrali nella Grande Guerra. Migliaia di persone morirono a Bari per le esalazioni e i fumi.

Per decenni i baresi hanno sofferto gli effetti residui dell'iprite, con gravi danni alla salute.