Le tele di grande formato saranno presentate a Lequile il 23 giugno 2017 nel Chiostro di Palazzo Andrioli. Introdurrà alle ore 20 il prof. Lucio Galante che firma il testo critico nel catalogo in cui, oltre ad analizzare da un punto di vista stilistico e iconografico le opere, ne sintetizza la storia. Storia che inizia nel 2005, su incarico dell’amministrazione comunale, con lo scopo di riempire gli spazi vuoti del presbiterio della Chiesa Madre con tele che abbiano per soggetto episodi della vita di San Vito, Santo Patrono del comune salentino. La prima, Traslazione delle Reliquie di San Vito, è collocata provvisoriamente nella Sagrestia della Chiesa, la seconda e la terza, rispettivamente San Vito fra la gente di Lequile (2015) e Il miracolo del terremoto (2017), sono per il momento a casa dell’autore in attesa che si risolva l’alterna vicenda che impedisce tuttora che le opere vengano collocate nel Presbiterio dove erano state destinate. Queste ultime pale per la prima volta verranno esposte nel Chiostro di Palazzo Andrioli e dal 24 al 26 giugno (con orario 18-22) nei locali di via Trieste, n4. L’evento è realizzato in collaborazione con Il Raggio Verde eventi d’arte.

«I tre dipinti – scrive il prof. Lucio Galante nell’introduzione al catalogo – gli sono stati commissionati nell’ormai lontano 2005 dall’Amministrazione Comunale per essere sistemati nella locale Chiesa Matrice. Non sono per lui le prime opere di soggetto religioso, avendo già realizzato il Cenacolo per la Chiesa Madre di Tricase, Il sogno di Giuseppe e Giuseppe artigiano per la Chiesa di San Giuseppe Patriarca a Copertino e L’elemosina del Beato Egidio per il convento francescano di Lequile. (…). Partendo dall’inizio, ciò che è ormai noto della loro storia è che ha visto tre attori principali, l’Amministrazione Comunale di Lequile, che ha deliberato di finanziare le opere, l’artista al quale è stato affidato il compito di realizzarle, e il parroco del tempo della chiesa alla quale erano destinate, che ha concordato con l’artista i soggetti da raffigurare. Si è, insomma, verificata nel presente la tipica congiuntura, come accadeva nel passato, che dava origine alle opere d’arte, costituita, appunto, dal committente finanziatore, dall’artista, ritenuto all’altezza del compito, e dal consulente di turno, competente in materia di dottrina, per dare suggerimenti sul relativo soggetto e sull’iconografia, trattandosi appunto di arte sacra. Inutile dire che rispetto al passato, il ruolo del terzo è certamente cambiato, essendo l’artista relativamente più libero di documentarsi».

Il trittico doveva completare l’arredo pittorico della chiesa e comprende tre grandi tele, cm 107x225, dipinte ad olio:

La traslazione della reliquia di San Vito, realizzata dall’artista nel 2005 e custodita nella sagrestia della Chiesa dell’Assunta, rappresenta l’arrivo dell’ampolla del Sangue di San Vito Martire nella cittadina il 6 aprile 1722 così come riportato nell’atto del notaio apostolico Vito Giancane, riferimento fondamentale per l’iconografia della composizione realizzata da Buttazzo con inquadrature ravvicinate per mettere in risalto i soggetti raffigurati proprio come accade davanti ad un quadro antico. Il suo è uno stile pittorico - scrive Lucio Galante – «che fonda sulla conoscenza e sulla padronanza delle tecniche classiche e delle regole compositive proprie dell’arte sacra e che si può definire “realistico” ». Non è un caso che l’artista per definire le fisionomie dei personaggi si sia avvalso di modelli veri.

San Vito incontra la comunità di Lequile è invece il tema del secondo dipinto, puramente celebrativo, che non si riferisce ad un fatto storico ma traduce il sentimento di devozione che lega nel tempo i Lequilesi al suo Santo.

Nella terza tela, Il miracolo del terremoto, la resa drammatica dell’evento sismico che sconvolse il Salento è sviluppata ripartendo le azioni su diversi piani prospettici: una soluzione che risolve come per le altre pale «il problema condizionante del formato verticale della tela».

Le foto delle opere in allegato sono state scattate dal fotografo Oronzo Fari.