Gentili ospiti stranieri, signore e signori, Ministro Fitto,l’inaugurazione della Fiera del Levante, orfana della parola del Presidente del Consiglio, rischia di divenire una cerimonia locale, un fatto politico residuale, la sanzione della marginalità del Mezzogiorno nella cultura di una classe dirigente. Lo dico con sincerità e senza intenti polemici, non solo per sottolineare l’errore grave di chi è al vertice del Paese e sceglie di non essere qui, ma anche per evocare un fatto compiuto: la scomparsa del meridionalismo tra i fondamenti culturali della nostra vita associata. Nella contesa pubblica e nella rappresentazione mediatica il Sud appare come l’inesauribile repertorio di tutti i possibili fenomeni di malcostume, viene narrato come metafora dello spreco e della corruttela, diviene il buco nero che risucchia tutti i mali del mondo.

Un racconto cattivo che nuoce non solo ai meridionali ma a tutti, un alibi che il Nord usa per non fare i conti con le contraddizioni di un modello di sviluppo giunto al capolinea, una luce opaca che copre tutto, sia il bene che il male, rendendo tutto indistinguibile. Grande è il male che minaccia i nostri territori, ma occorrono diagnosi puntuali e terapie mirate, altrimenti quaggiù gireremo a vuoto sulle piste del sudismo piagnone e lassù coltiveranno l’illusione che senza Sud l’Italia può correre più veloce. Più veloce, certo, l’Italia correrebbe verso il baratro: in una delle tante secessioni che rischiano di schiantare il nostro vecchio e spaventato continente. Le patologie criminali non sono una specialità etnico-territoriale, tangentopoli è anche una megalopoli settentrionale, le mafie riciclano e reinvestono nella mitica Padania, e non sono solo le nostre burocrazie a faticare per sincronizzarsi sulle onde lunghe dell’amministrazione comunitaria. Ecco, per parlare di cose concrete: la spesa comunitaria è come dentro una tenaglia, stretta tra i regolamenti di Bruxelles e le leggi italiane, è prigioniera di clamorose incoerenze normative e procedimentali. Ne vogliamo parlare? Perché le stazioni appaltanti (a partire dai Ministeri) faticano a bandire ed appaltare? Se discutessimo con meno strumentalità e pregiudizi forse impareremmo a cercare la soluzione dei problemi piuttosto che i capri espiatori. Il ministro Tremonti che per vis polemica paragonava la Puglia alla Grecia non ci aiutava a diventare più responsabili. Siamo invece diventati più responsabili perché abbiamo liberato la nostra Regione dalle ipoteche della finanza creativa di cui Tremonti fu un virtuoso, perché abbiamo dimezzato il nostro debito come ci riconosce Moody’s, perché abbiamo costruito politiche pubbliche innovative, ambientalmente sostenibili, socialmente eque. L’innovazione non è stata per noi la retorica del nuovo, ma la costruzione di una visione del futuro che mettesse a valore il nostro principale capitale sociale: le giovani generazioni, il loro talento, la loro domanda di lavoro stabile e competente. Abbiamo investito sull’economia della conoscenza e sull’industria creativa, con risultati che fanno della Puglia oggi un punto di riferimento non solo nazionale per le filiere produttive del cinema e della musica. Il turismo, qualificato nei suoi attrattori, implementato nella sua ricettività, professionalizzato nei suoi operatori, ci vede sempre più in crescita e oggi rappresentiamo un brand internazionale di qualità: ma il risultato lo abbiamo raggiunto investendo sulla buona modernizzazione che rinnova il materiale rotabile, punta sui voli low cost, abbatte le barriere che inibiscono la mobilità interna e la relazione col mondo esterno.

L’agricoltura, intesa come presidio ecologico e come identità culturale, vede ad esempio le nostre produzioni olivicole e vitivinicole più qualificate guadagnare mercato e attrarre una nuova generazione di contadini imprenditori e di imprenditori-trasformatori, anche capaci di puntare sul turismo rurale e sulle masserie didattiche. Chi pensa alle campagne come a una mega-fabbrica decotta e fuori mercato, da alimentare con sussidi e ammortizzatori, è prigioniero di un mondo morto: nel mondo dei vivi, in questo pianeta di speculatori e di affamati, l’agricoltura è il futuro che diviene il grande laboratorio di una ricchezza che è anche quella della difesa della biodiversità, di relazioni sociali mature, di stili di produzione e di consumo capaci di dare valore ai beni comuni: alla terra, all’acqua, ai saperi che si tramandano di generazione in generazione. Certo, non siamo fuori dal mondo, la crisi morde e ci spacca le ossa. Ci sono apparati industriali che si squagliano o che delocalizzano: a noi è mancato un riferimento nazionale di politica industriale in questi anni di burrasca, abbiamo dovuto arrangiarci e faticare non poco per convincere i grandi gruppi internazionali a non abbandonare i loro insediamenti pugliesi. Ancora aspettiamo, da qualche angolo del ministero dello sviluppo economico, un cenno di vita per aggredire la crisi del mobile imbottito. Non ci piace invece l’attenzione eccessiva che c’è sui nostri fondali marini, sempre a rischio di trivellazione per procacciatori di petrolio e d’affari. Quello è proprio lo sviluppo di cui non ha bisogno una regione che può vantare la più cospicua produzione di energia da fonti rinnovabili d’Italia. Aspettiamo con fiducia lo sblocco dei fondi necessari a mettere in campo il ciclo delle bonifiche ambientali a Brindisi e a Taranto, due città che non meritano di essere cartoline del veleno industriale e che possono guadagnare un futuro migliore puntando sul mare, sulla ricchezza archeologica e culturale, oltre che su quei poli industriali che vanno ristrutturati nel segno della sostenibilità. Aspettiamo le risorse per interventi urgenti di difesa del suolo e messa in sicurezza del territorio.

E possiamo rivendicare l’eccellenza della nostra protezione civile (quest’anno abbiamo messo in mare la prima pattuglia di idroambulanze). La pubblicistica è gonfia di inchieste su aziende pubbliche malate di sprechi e parassitismo: noi abbiamo nell’Acquedotto pugliese un’azienda pubblica che in pochi anni ha fatto un epocale salto di qualità oggi certificato anche dalle agenzie di rating e incoraggiato dall’esito del referendum. La crisi ci ha fatto male, tuttavia abbiamo messo in campo sia sul versante del sostegno alle imprese che su quello delle politiche attive per il lavoro, risorse e pianificazioni condivise con tutti gli attori sociali che forse non hanno eguali nel contesto nazionale: e alcuni indicatori – penso all’aumento dell’export del 20%, penso alla ripresa del consumo di energia industriale – ci rincuorano. Lo ricordo a me stesso: la nostra manovra anticiclica è stata di 800 milioni di euro. Il nostro Piano straordinario per il lavoro, che è anche un work in progress che intende monitorare costantemente gli effetti dei bandi ed eventualmente ottimizzare il catalogo degli interventi, vale 340 milioni di euro. A questo piano abbiamo dedicato i padiglioni della Regione Puglia qui, in questa nostra Fiera che cambia pelle, anch’essa protagonista di una mutazione, che contempla una sepoltura di tante cose vecchie e un nuovo inizio. Dobbiamo ora insistere sulle direttrici fondamentali che abbiamo scolpito nei nostri atti e nelle nostre leggi: spingere le imprese verso l’innovazione di processo e di prodotto, assecondarne la crescita dimensionale e l’organizzazione in distretti di filiera, accompagnarne l’impegno di internazionalizzazione. Il nostro “piano casa”, votato all’unanimità, è un esempio di pianificazione territoriale capace di coniugare ricchezza sociale e profitto d’impresa, social housing e edilizia sostenibile. Ma il nostro impegno non ha senso se non mettiamo al centro dell’agenda di governo la qualità della formazione a tutti i livelli: la Puglia con “diritti a scuola” ha sperimentato una modalità inedita ed emulata dalle altre regioni di ricollocazione dei precari della scuola in progetti didattici mirati alle aree più povere e ai soggetti più svantaggiati. E oggi i nostri studenti hanno un livello di apprendimento, secondo i dati ufficiali, superiore alla media nazionale. Ora è il momento di dare un segnale forte a quel sistema universitario e della ricerca che è uno snodo cruciale per reagire alla crisi. Insomma il sud non è solo furbizia levantina o clientelismo.

E’ anche l’inventiva di politiche giovanili che premiano lo spirito d’intrapresa e il talento di una generazione che non può naufragare nella precarietà, anche perché solo i giovani hanno il know how per traghettarci verso il futuro. E’ anche la capacità di guardare agli altri popoli e alle altre culture come a un dono, una risorsa, una possibilità di salvezza comune: e i pugliesi continuano ad essere costruttori di accoglienza per i migranti, per i profughi, per i rifugiati. E’ vero, anche noi siamo segnati dalle verità scabrose che emergono dalle inchieste giudiziarie, eppure proviamo a reagire con gli strumenti della politica, nel pieno rispetto delle prerogative di chi effettua il controllo di legalità. I nostri obiettivi di infrastrutturazione socio-assistenziale cominciano ad essere non solo pagine di buone intenzioni, ma cantieri e nastri tagliati di asili, di centri di socialità per disabili, di case protette per persone vulnerabili. Se la sanità è il regno delle invasioni barbariche della politica, noi abbiamo provato a rovesciare la piramide, mettendo in campo la prima esperienza di formazione e selezione di un nuovo management libero da ipoteche di partito. E assieme alle drammatiche criticità vorremo dire anche delle nostre realizzazioni, per esempio nel campo della telemedicina. Se usiamo una lente di verità, potremo separare la luce dalle tenebre e insieme potremo far crescere una nuova classe dirigente. Potremo coltivare, non solo negli orti delle istituzioni, la pianta della buona politica, di una nuova etica pubblica, di un miglior vivere collettivo, educandoci a quelle virtù civiche che oggi paiono smarrite.
In questo contesto vorrei esprimere gratitudine al Ministro Fitto, per essere qui, e per aver saputo ascoltare ed accogliere il grido di dolore che da anni abbiamo lanciato a Roma e fatto rimbalzare a Bruxelles sull’insensatezza di quei vincoli rigidi che, con il patto di stabilità, strangolano le pubbliche amministrazioni: vincoli che pesando sulle risorse destinate agli investimenti, producono un effetto paradossale di paralisi della spesa.

E lo ringrazio perché questo dialogo e questa collaborazione si è determinata nel contesto peggiore possibile, quando il conflitto tra governo e regioni, tra governo ed enti locali, ha raggiunto le dimensioni di un autentico e inedito collasso istituzionale. E lo ringrazio perché insieme abbiamo tessuto la tela dello sblocco dei fondi Fas, attraverso la sottoscrizione di una organica intesa politico-istituzionale che ha dato vita ad una prima delibera approvata dal Cipe per oltre un miliardo e 200 milioni di euro e che nelle prossime settimane ci porterà a completare l’opera di definizione dei programmi e dei trasferimenti finanziari. Riconoscersi e collaborare, stringersi la mano, anche nella più aspra delle contrapposizioni, non è indizio di compromesso deteriore, ma è prova di maturità. Io, com’è noto, condivido il giudizio radicalmente negativo che, in modo pressoché unanime, i miei colleghi presidenti di regione hanno dato sulla manovra finanziaria del governo. La reputo sbagliata e iniqua, incapace di affrontare i nodi della crescita e dell’occupazione, mirata al di là della propaganda a rastrellare risorse dai ceti medio-bassi e strutturalmente incapace di colpire la rendita e l’evasione, costruita su tagli che entreranno nella carne viva del nostro Welfare e che avranno effetti depressivi sull’economia. Siamo nell’occhio del ciclone. Ma non è figlia di calamità naturali questa crisi del nostro mondo. E’ invece la rappresentazione più fedele del nostro mondo: che in una stagione lunga ormai un trentennio ha trasformato l’economia mondiale, con un capitalismo finanziario che ha soppiantato il capitalismo industriale. La moneta e la sua etica, la sua infinita proiezione speculativa, la sua espansione senza legami con la produzione, ha tolto centralità e valore al lavoro.

Una gigantesca rivoluzione che ha allargato le distanze sociali e che ha finito per divorare come un cannibale l’economia reale. La ricchezza fatta di soldi e non di lavoro ha creato una bolla che oggi è scoppiata in faccia a chi non se sa nulla, a chi non ha partecipato a quei fasti. Questa ricchezza aumenta estraendo valore con la speculazione sul prezzo delle materie prime e dei beni essenziali, per crescere questa ricchezza deve produrre più povertà, deve drogare il mercato mondiale degli alimenti o dei farmaci, i bonus per i manager-squali della finanziarizzazione sono inversamente proporzionali al reddito dei lavoratori salariati e ai loro consumi. Qui c’è un nodo ineludibile: si chiama ingiustizia sociale. Che viene sublimata dal pensiero unico che ammutolisce la politica e rende le lobbies finanziarie il vero incontrastato dominus del pianeta. Qui la crisi si allarga, investe i paradigmi della nostra civiltà, gira vorticosamente attorno ad una domanda semplice: Chi comanda? Chi ha lo scettro? Chi è il sovrano?

Mi sia consentita conclusivamente una citazione, da un libro stampato nel 1946. “Perequazione ossia giustizia, ossia democrazia sono ideali attuabili soltanto se si adottano congegni tributari adatti allo scopo”. Il libretto da cui ho tratto la citazione s’intitola “L’imposta patrimoniale”: il suo autore oggi in Italia sarebbe considerato uno stravagante idealista. Era Luigi Einaudi. Mi auguro che almeno l’oscurità di questi tempi che viviamo ci spinga a riflettere su quelle parole per me così luminose.

Nichi Vendola