Conversazioni sulla cartapesta. Sulle orme di Giuseppe Manzo a Torrepaduli
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- By af
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Si tratta del gruppo scultoreo policromo che lo scultore leccese realizzò nel 1920 e dedicato a Santa Elena in estasi mentre abbraccia la croce, accanto a lei figurano il vescovo di Gerusalemme Macario e un guarito; l’opera cristallizza, in una composizione delicata e struggente, il miracolo della vera Croce quando Elena, prima archeologa cristiana, nel 336 riuscì a portare alla luce la Croce di Gesù nel 336 grazie alla sua devozione e al suo operato caritatevole.
Un dialogo intorno alla scultura, all’arte di Giuseppe Manzo ri-scoperto attraverso la voce di protagonisti dell’arte della cartapesta oggi come il cartapestaio Antonio Papa, la restauratrice e artista Pamela Maglie, la voce della fede che si rinnova grazie all’operato delle Confraternite: Maria Rosaria Colona priora della Confraternita della Madonna delle Grazie di Torrepaduli e don Gino Morciano padre Spirituale della confraternita, il dott. Gabriele Cacciatore. Introduce Antonio Manzo guida turistica e operatore culturale nonché pronipote dell’artista, modera la giornalista Antonietta Fulvio.
Nato a Lecce nel 1849, Giuseppe Manzo fu soprannominato il Michelangelo della cartapesta, per il verismo e la perfezione delle sue sculture, pale per altari e altorilievi. Solo per restare in Puglia si annoverano un bellissimo altorilievo nel Duomo di Lecce, la Madonna del Rosario di Pompei nel Santuario di Santa Maria del Canneto a Gallipoli, l’Annunciazione nel santuario S. Maria de finibus terra, il San Giuseppe Patriarca nella Chiesa di San Nicola a Corigliano d’Otranto, il Sacro Cuore di Gesù e un altorilievo della Vergine con il Bambino nella Cappella del Santissimo a Cavallino, la statua della Madonna del Carmine nella Chiesa di San Vito a Surbo, il San Giuseppe nel Santuario S. Maria della Lizza ad Alezio, la Madonna dei Fiori nella Chiesa della Santissima Trinità Manduria, nella Chiesa della Beata Vergine a Casarano, a Melissano, Matino, Parabita, Tuglie, Putignano san Pietro Vernotico, Ostuni, Fasano, San Vito dei Normanni, Francavilla Fontana…
Una figura di spicco riconosciuta all’estero per talento e tecnica e per una vastissima produzione di Santi, Cristi e Madonne entrate a far parte di collezioni pubbliche e private in tante parti del mondo.
Il suo laboratorio ricevette dal Re Umberto I il fregio dell’insegna regia come ricorda la targa apposta qualche anno fa in via Paladini, e durante la sua vita furono davvero tanti i riconoscimenti ricevuti per le sue meravigliose creazioni in cartapesta. Il papa Pio X gli conferì la Croce di Cavaliere dell’Ordine Piano e l’Accademia di Parigi lo nominò socio benemerito e gli attribuì la Medaglia d’Oro. Nel 1899 fu premiato con la medaglia d’oro all’Esposizione Campionaria di Roma e all’Esposizione Industriale e Commerciale di Poitiers e l’anno seguente alle esposizioni internazionali di Londra, Parigi e Bruxelles: questo a testimonianza, se mai ce ne fosse stato bisogno, della sua Arte universalmente riconosciuta dalle più prestigiose istituzioni dell’epoca. Lo attestano d’altronde anche i numerosi diplomi e corsi di merito attribuiti all’artista che mai adoperò per la sua opera in cartapesta i giornali perché come asseriva “i santi non si vestono di notizie”. Le sue statue si distinguono per la purezza del modellato, le armonie delle linee di figure dai lineamenti mai esagerati ma che esprimono con semplicità l’essenza della religiosità. Si racconta che quando doveva delineare i volti dei suoi “santi” Giuseppe Manzo si appartasse entrando quasi in estasi e questo non perché fosse geloso della sua arte ma semplicemente perché sentiva l’esigenza di entrare in contatto con lo spirito del simulacro da rappresentare. Nella sua bottega, che contò fino a quindici unità nel periodo più fiorente, non si lavorò mai in serie ma con le più pure tecniche come aveva appreso dai suoi maestri dapprima Luigi Guerra, Achille Castellucci e Anselmo de Simone poi Achille De Lucrezi, dove presso la sua bottega iniziò a lavorare insieme a Andrea De Pascalis con il quale nel 1888 aprì un laboratorio sotto il Palazzo Romano, in via Paladini. Cinque anni più tardi il De Pascalis si mise in proprio e Manzo continuò da solo la sua attività. Il resto è storia, trasmessa al figlio Antonio che però, pur non raggiungendo la qualità tecnica del padre, fu costretto per l’imperante crisi del settore a chiudere il laboratorio nel 1959. I tempi erano cambiati, la carenza di committenti da un lato e dall’altro la mancanza di una trasmissione generazionale di un’arte destinata ad impoverirsi anche per la contaminazione e l’impoverimento dettato dalla produzione seriale di manufatti un tempo autentiche e concrete prove d’autore.