Un’avventura alla scoperta di una terra dalla storia antica. È ricco di emozioni il percorso ad anello Sui sentieri dei briganti di Terra d’Otranto, lungo circa 75 chilometri, proposto dalla dimora storica A’ Locanda tu’ Marchese di Matino (nel cuore del Salento), che in collaborazione con Bikeitalia ha intrapreso un percorso di trasformazione in struttura specializzata nel cicloturismo.

L’avventura inizia fin dalla Locanda, con una frase scritta sul muro, proprio accanto all’ingresso, che la dice lunga su quanto la leggenda dei briganti di Terra d’Otranto qui sia molto sentita: “Può succedere che io venga privato della mia libertà… ma solo quando avrete cancellato la mia cultura potrete dire di avermi imprigionato. Fino ad allora accarezzerò sempre il ricordo di chi sono!”
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E con questo bagaglio del “brigante anonimo” si parte dai vicoli del borgo antico per dirigersi verso Parabita, seguendo le strade del Sac (Sistema Ambientale e Culturale) Salento di Mare e di Pietre, un progetto che ha disegnato la rete cicloturistica nel Basso Salento.

È il Castello Angioino, nel cuore del borgo di Parabita, a far correre la mente verso il potere dei nobili, che sopravviveva a qualsiasi dominazione. Nella piazza, a livello appena più basso del maniero, si avverte come bisognasse sentirsi sottomessi a un potere che si considerava inattaccabile.

Per uscire dal borgo si fa un breve tratto di provinciale, fino al rondò dove si imbocca un sentiero fra i campi, si sfiora Tuglie.

Pedalando verso Alezio, sembra quasi di scorgerli fra gli ulivi e i muretti a secco, i briganti della “banda di Picciotti” che fino al 1864 scorrazzavano senza dare tregua alle forze governative. E in queste campagne, in effetti, avvenne la sanguinosa cattura di “Peperusso” (Vincenzo Barbaro), uno degli ultimi indomiti briganti, di una terra che non si rassegnava alle angherie di vecchi e nuovi dominatori. E che chiedeva (vanamente) giustizia sociale. La cattura di “Peperusso” fu l’ultimo atto della repressione violenta della “banda di Picciotti”, briganti così sfrontati che nel 1861 erano giunti a fare irruzione nella caserma della Guardia Nazionale, appropriandosi delle armi.

Ad Alezio si scopre una pagina di storia molto più antica, quella dei Messapi, i primi abitanti del Salento, nel Museo Civico con i monili e gli imponenti resti, accolti da una bella dimora settecentesca. Più in là c’è invece il Santuario della Lizza, cuore della fede popolare dell’entroterra gallipolino.

Appena usciti fuori Alezio tornano le suggestioni dei Messapi con l’area archeologica che domina la campagna. Si continua a pedalare verso Taviano, e anche qui fra i vicoli e le stradine del borgo antico sembrano riecheggiare le grida della vera e propria sommossa al grido di “Viva Francesco II”, un modo di rivendicare il diritto a una vita dignitosa per tanti giovani soldati rientrati dopo la dura esperienza al fronte e rimasti senza lavoro, prigionieri in patria di una vita grama.

E se ci fossero dubbi su quanto i briganti abbiano segnato la storia post-unitaria del Salento e del Sud, ecco che Melissano li scioglie, dedicando una via, seppur una viuzza, proprio a loro, i Briganti. Chi lo ha fatto non può non aver pensato alle disavventure dei ricchi proprietari della masseria Li Coloni, per una notte in balia dei briganti alla ricerca di viveri e riscatto. O, meglio ancora, all’uccisione in pieno centro cittadino del parroco del paese, accusato di aver denunciato il brigante Melchiorre, nome di battaglia di Giuseppe Venneri, uno dei capi più agguerriti delle bande che scorrazzavano fra paesi e campagna.

È ad Ugento che si respira l’aria della rivolta popolare con i moti che nel 1861 furono repressi dalla Guardia Nazionale che riuscì a tenere a bada il popolo che invocava il ritorno dei Borboni. Ma ciò non bastò a conquistare il consenso degli ugentini. Così per anni le bande dei briganti imperversarono e in questi vicoli fino al 1865 si stagliava l’ombra del famigerato Melchiorre. Più volte sfidò i gendarmi per tentare di liberare i suoi compagni, detenuti nelle carceri mandamentali di Ugento, ospitate dal Castello, ma senza successo.

Pedalando verso Gemini, piccola frazione di Ugento, si attraversa la campagna dove cercò rifugio e accoglienza lo stesso Melchiorre, rifocillato segretamente in una masseria dove trovò anche l’amore clandestino della giovane massara, sedotta dal suo fascino. Una tresca amorosa che venne all’orecchio dei carabinieri: a loro Melchiorre sfuggì, ma la tresca amorosa costò ai massari sette mesi di carcere.

Si sale sulle alture verso sud, attraversando fitti uliveti che combattono con la Xylella per scendere verso Acquarica del Capo, annunciata dalla torre fortificata della masseria di Celsorizzo, una delle più antiche del Salento. Prima di entrare nel centro abitato ecco un’altra pagina di storia con la Cappella della Madonna dei Panelli, con i suoi preziosi affreschi e l’attiguo frantoio ipogeo. Proseguendo, si entra già a Presicce (i due paesi sono ormai uniti, anche burocraticamente stanno dando vita ad un unico Comune, superando i campanilismi). Arrivati in piazza, sono i frantoi ipogei a raccontare l’anima contadina di questo paese: qui c’era il cuore pulsante di un’economia che macinava le olive per farne olio lampante da esportare in mezza Europa, mentre accanto il Palazzo Ducale apre le porte alla deliziosa piazzetta, cuore del barocco, con la colonna di Sant’Andrea che fronteggia la splendida chiesa. E nelle stradine del bellissimo borgo ritorna la suggestione dei briganti con il racconto di un pericoloso invito a cena in Presicce: ancora una volta è l’imprendibile Melchiorre, l’ossessione dei Regi Carabinieri, ad esserne protagonista. Contando sull’accoglienza di una famiglia di Presicce, fu sorpreso a cena con una pignatta di fagioli davanti. Ma ancora una volta riuscì a scamparla con una rocambolesca e sanguinosa fuga.

Imbracciando il suo fucile, seguì i sentieri che portano alla serra, gli stessi che si percorrono oggi in bici e che proprio in cima diventano sterrate, attraversando macchia selvaggia e ulivi, che appaiono ancora oggi ideali rifugi per chi vuol far perdere le sue tracce. La natura del Salento proteggeva così i suoi uomini.

Dall’altra parte si scende verso Ruffano, al centro delle Serre salentine, che accoglie nella deliziosa piazza del suo regale borgo antico dominato dal Castello e dalla Chiesa Matrice. Si risale sulla serra, nell’unica salita impegnativa di tutto il percorso (lunga solo poco più di mezzo chilometro), per imboccare poi le stradine che sui fianchi dell’altura scendono verso Casarano, anche queste teatro delle scorrerie di Melchiorre e della sua banda. Il brigante, dopo essersi fatto beffa per anni di guardie e carabinieri, il 24 luglio 1866 capitolò e in un conflitto a fuoco venne ucciso. Il suo cadavere, posto su un carro scoperto, fu esposto nelle piazze di Ruffano, Casarano, Melissano, Taviano e infine nella sua Alliste. Un terribile monito per chi violava l’ordine costituito dei Piemontesi.

Ad accogliere il viaggiatore alle porte di Casarano è un gioiello dell’arte bizantina, la Chiesa di Casaranello, che custodisce il più prezioso dei mosaici, risalente al V secolo, con i suoi splendidi giochi cromatici che raffigurano uno straordinario cielo stellato.

Si attraversa il centro abitato di Casarano per tornare alla base dove si arriva dalla parte alta. Si scende nel centro storico attraverso viuzze con una notevole pendenza costeggiando la bella Chiesa del Carmine e ritornando nel cuore di Matino.

La scorribanda fra le campagne e le serre salentine si conclude qui, mentre ancora è viva l’ebbrezza di aver attraversato il cuore del Basso Salento, come briganti dei vecchi tempi.

(C) https://www.bikeitalia.it/salento-in-bici-sui-sentieri-dei-briganti-di-terra-dotranto/

[Per approfondimenti storici sul Brigantaggio]

Vite sbandate – Brigantaggio nel Basso Salento, di Ivan Ferrari (edizioni Esperidi, 2015)