Dopo i saluti del Sindaco della Città di Gallipoli, nonché presidente della Provincia di Lecce, Stefano Minerva, e del rettore del Santuario di Santa Maria del Canneto, don Gigi De Rosa, la serata, moderata da Eugenio Chetta, Presidente dell’Associazione Amart Gallipoli, vedrà l’alternarsi degli interventi di Elio Pindinelli, Presidente dell’Associazione Gallipoli Nostra e Vicepresidente della Società storica di Terra d’Otranto, nonché autore della prefazione al volume; di Rita Saba, autrice del romanzo, ed infine di Maria De Giovanni, Commendatrice della Repubblica e Presidente di SMAISO (Sclerosi Multipla Associazione Italiana Sunrise Onlus) associazione cui l’autrice ha deciso di donare parte del ricavato della serata proveniente dalla vendita del libro.

L’evento sarà allietato dagli intermezzi musicali del soprano Laura De Vita e del Maestro Luigi Solidoro che eseguiranno brani della tradizione gallipolina.

L’ingresso all’evento è libero.

"Conosco Rita Saba da tantissimi anni e so quanto abbia amato e approfondito il folklore locale, con cui alla fine ha potuto alimentare e sostenere la forte connotazione localistica di questo lungo racconto, sviluppato con l’obiettivo di fare emergere attraverso le storie dei protagonisti, i piani disumani e controversi delle differenze sociali, in un ambiente d’altri tempi, descritto in bilico tra miseria e nobiltà.
E lo fa attraverso i pensieri e i ricordi di Ttianu, vecchio e moribondo, a cui si collegano le storie delle tante donne, le vere protagoniste delle vicende narrate, che Rita assume non solo a principali vittime del contesto sociale e umano ma anche protagoniste del vivere comunitario, con le loro paure e le loro credenze, le sopraffazioni, le umiliazioni delle convenzioni sociali, le violenze degli uomini, la loro forza e il loro amore materno.
Tra tutte le vicende delle donne stuprate, obbligate per le convenzioni sociali a nascondere il “frutto del peccato”, la vendetta per il disonore patito e alla fine il riconoscimento e la riappacificazione.
Gli uomini sembrano posti a corollario delle storie e dei ricordi di Ttianu, quasi a volere indicare una chiave di interpretazione più aderente a quella miseria umana e sociale di cui si nutre l’intero racconto.
É come se Rita Saba abbia voluto immergersi, tra realtà e fantasia, in un ambiente, quello gallipolino della tradizione popolare, con le sue contaminazioni culturali i suoi riti e le sue credenze, in bilico tra fede e superstizione, immaginando le condizioni di miseria del ceto popolare e le enormi differenze sociali di un tempo che fu.
Un racconto in cui si percepiscono richiami neoromantici, con certezze in bilico tra la fiducia in Dio e il fatalismo, la narrazione, cioè, di una realtà sociale immaginata che schiaccia i deboli. Peraltro il narratore è manifesto fin dalle prime battute e il racconto si chiude con la sua morte, quasi a voler suggellare anche la fine di una ricreata realtà lontana da quella attuale, ma utile a sollecitare mille stimoli di riflessione che il testo ci propone.
Ciò che più incuriosisce, però, in questo racconto è la sequenza delle credenze popolari del popolo gallipolino; dal rito di Santa Monica alle invocazioni liberatorie, dalle fatture alle fattucchiere, in cui hanno debito posto motti e proverbi dialettali, ma anche le pratiche tradizionali popolari: dalla cuccagna alle processioni; la vita di mare e le usanze casalinghe; i luoghi e l’ambiente, da Sant’Agata a Santa Maria delle Grazie con le cave di tufo, la torre dell’orologio e i vicoli, il borgo che si estendeva fino all’arbacani.
Elementi tutti che concorrono alla certa identificazione del teatro delle vicende e che per questo appassiona di più la sua piacevole lettura".

(Dalla prefazione di Elio Pindinelli)